Operazione Arcevia – comunità esistenziale – 1972-76

“Operazione Arcevia” – comunità esistenziale – 1972-76

 

commissione tecnica:

Italo Bartoletti, Enrico Crispolti, Antonio Miotto, Ico Parisi, Pierre Restany

 

collaboratori al progetto:

Michelangelo Antonioni, Arman, Emanuele Astengo, Iginio Balderi, Alberto Burri, Nicola Carrino,

Alik Cavaliere, Mario Ceroli, Cesar, Aldo Clementi, Giuliano Collina, Vittorio Consoli, Corneille, Lucio Del Pezzo, Bruno Di Bello, Rod Dudley, Nato Frascà, Tonino Guerra, Milvia Maglione, Teodosio Magnoni, Edgardo Mannucci, Nikos, Francesco Pennisi, Aldo Ricci, Chrissa Romanos, J.M. Sanejouand, Francesco Somaini, Vito Sonzogni, J.R. Soto, Mauro Staccioli, Shu Takahashi,

Joe Tilson, Valeriano Trubbiani

 

Italo Bartoletti:

L'operatore economico dovrebbe, in quanto tale adeguare le proprie iniziative anche ai più alti interessi della comunità e in tal senso agire in una sintonia con gli enti pubblici in quanto espressione della comunità stessa, interpreti delle sue necessità e dei suoi diritti.

In questo spirito e con questo intendimento ho iniziato e promosso questa azione di lavoro che ha lo scopo di creare un nuovo centro di vita nella mia terra natale: Palazzo d'Arcevia nelle Marche.

Questa progettazione che ha preso il nome “Operazione Arcevia” ha nel suo procedere trovato l'adesione di un vasto numero di esponenti della cultura di tutto il mondo, questo è stata per me la più sicura conferma della validità dell'iniziativa e della sua attualità e utilità sociale.

Ritengo che la proposta di creare una comunità esistenziale ideata da Ico Parisi concretizzi le aspirazioni, oggi emergenti, di trovare una diversa e più giusta dimensione di vita per l'uomo, una giusta alternativa per reinserirlo nel suo ambiente, e in questo caso nella sua terra.

È mia speranza che questo nostro lavoro possa promuovere il ritorno della gente alle sue tradizioni contadine e artigiane, patrimonio reale e duraturo con radici storiche e culturali.

Tradizioni in continuo degrado per la fuga verso i centri industriali delle giovani forze operanti.

Se l'operazione Arcevia funzionerà avremo la gioia di vedere in una diversa dimensione abitativa nascere un primo nucleo di persone che è stato capace di trovare una forma più modesta è più semplice di gestire la propria esistenza.

Sono grato a Parisi, Ai membri della commissione tecnico operativa: Crispolti, Miotto, Restany e ai molti artisti associati a questo lavoro e ai molti ancora che ne renderanno possibile la realizzazione.

Italo Bartoletti

 

Enrico Crispolti:

Realtà dell'operazione Arcevia

Realisticamente l'operazione Arcevia Va accettata per quello che ora è alla luce del suo primo traguardo: Cioè la compiuta definizione del progetto.

Il progetto è astratto, inevitabilmente, rispetto alla realtà della sua realizzazione, che lo sottoporrà a critica e a ripensamento, inevitabili. È reale inveceIn quanto tale. Ed è in questo senso soltanto che l'operazione ha una precisa concretezza, per ora.

Ciò che vi è di reale, e culturalmente di rilevante, è un'esperienza in scala finora non raggiunta, credo, di collaborazione fra artisti attuali (alcuni, protagonisti conclamati dell'arte d'avanguardia negli ultimi decenni) e un architetto progettista anch'egli d'avanguardia. Una collaborazione non per aggiunzioni esteriori, ma per partecipazione diretta, inventiva, al momento progettuale.

In questo senso già indipendentemente dalla sua realizzazione (Secondo traguardo demandato al futuro), l' “Operazione Arcevia” A livello progettistico rappresenta una grossa esperienza culturale, nella quale si può riconoscere un impegno creativo molteplice e del massimo interesse.

L'ampiezza, ricchezza e prontezza di risposta dei diversi artisti alla sollecitazione progettistica di Parisi ha permesso tale consistenza ed è il dato reale sul quale si fonda l'attuale situazione. Tale concretezza è proprio nella realtà del progetto, che esiste embrionalmente, e va configurandosi e definendosi in modo conclusivo attraverso il prender corpo dei singoli interventi, che sono dialetticamente modificatori dello spunto progettistico inizialmente messo sul tappeto da Parisi.

Sarebbe errato pretendere una compiuta realtà dell'”Operazione” oggi, oltre tali limiti; Che sono indubbiamente limite di astrattezza, dell'astrattezza del progetto, rispetto alla gamma di quesiti, anche assillanti, che subito nascono di fronte alla realtà della realizzazione sul territorio, con gli abitanti (quali?).

Ma occorre riconoscere che nella prospettiva di questo primo traguardo di compiutezza progettuale l'astrattezza diviene concreta realtà di un lavoro comune in vista della definizione di un elaborato collettivo, quale sarà il compiuto progetto.

Il secondo traguardo, della realizzazione, non potrà, a suo tempo, che porre in crisi questo elaborato progettistico, di fronte alla diversa concretezza delle esigenze che saranno formulate.

A quel livello occorreranno le indagini socio-economiche e rapporto di base nel quadro dell'interrogativo politico che indubbiamente dobbiamo porci. E l'astrattezza inevitabile del progetto cederà il posto alle giustificazioni reali di un'operazione reale.

Ma sarebbe troppo chiedere ora agli artisti la soluzione di una problematica che è monte del loro operare, e che, se non affrontata pregiudizialmente, lo potrà essere successivamente in sede di concreta verifica.

Sarebbe improprio fare un discorso politico entro il progetto così votato al traguardo, indubbiamente astratto, (ma concreto nel lavoro di progettazione collettiva) della sua compiutezza. Ne mancherebbero i termini e le possibilità.

Del resto il progetto compiuto si porrà come interrogativo. Esattamente: sarà possibile realizzare questo progetto? Se ne avranno adeguate giustificazioni sociali e politiche?

Allora l'astrattezza (che è il nostro unico terreno concreto attuale) potrà cedere il campo a una concretezza non supposta ma realmente fondata sul riscontro socio-politico.

Enrico Crispolti

Roma – 1975

 

Antonio Miotto:

“Piccolo gruppo grande spazio” questo potrebbe essere il paradigma dell'equilibrio biologico valido per l'uomo (in riferimento per quanto accade per varie specie animali) Ma questa verità è stata praticamente distrutta dal modo di vita artificiale che l'uomo ha sviluppato nel corso dei secoli, giungendo infine all'urbanizzazione che ha capovolto la proposizione cioè “grande gruppo-spazio sempre più limitato”. La verticalizzazione dei grattacieli non potrà mai restituire all'uomo il suo spazio vitale in quanto lo allontana simultaneamente dall'ambiente naturale e dal contatto diretto con il prossimo. E' perfino banale riferirsi al dilagante trionfo della nevrosi e delle psicosi e alla civiltà del consumismo Che infondo gratifica l'uomo frustrato offrendogli surrogati in serie in mancanza delle verità.

È da sempre che l'uomo cerca di risuscitare il sogno antico di insediamenti o di piccole comunità che potrebbero in qualche modo ristabilire l'equilibrio turbato: le utopie, le “città del sole” e tutto un sistema di suggerimenti anche recentissimi che qualcuno potrebbe definire “follie medievali”.

Un'obiezione comune contro tentativi di cancellare l'alienazione correlata alla urbanizzazione massiccia potrebbe riferirsi a un egocentrismo deteriore che caratterizzerebbe una piccola comunità staccata e isolata dal contesto sociale.

Un piccolo gruppo si salverebbe proprio in quanto interrompe la comunicazione con la collettività.

Ma ci sono due strade maestre che ci aiuterebbero a superare il dilemma: quello della cultura e della socialità. In altre parole l'insediamento di una piccola comunità conserverebbe il suo valore umano solo se riuscisse a potenziare rapporti interpersonali tra il membri del piccolo gruppo aprendo così l'orizzonte a una ulteriore più vasta socializzazione.

Ma questo perfezionamento delle tendenze psico-sociali deve al tempo stesso passare attraverso la cultura, la sensibilità artistica e l'approfondimento dell'esperienza.

L' Operazione Arcevia - ideata da Ico Parisi e sviluppata dai suoi collaboratori - potrebbe costituire un modello precursore di una soluzione persuasiva proprio su un duplice piano che abbiamo definito, quello della socialità e della cultura.

Una comunità di seicento abitanti può rappresentare un insediamento che neutralizza automaticamente i pericoli di un qualsiasi agglomerato caotico proprio attraverso il rafforzamento delle reti interpersonali che possono e devono svilupparsi tra i membri del piccolo gruppo.

Se pensiamo che al centro della comunità si collocano le attività artigianali caratteristiche della regione Marche, collegate a una sana produttività sul piano degli scambi commerciali e dell'agricoltura; se si ricorda che questa comunità dispone di centri di cultura, di meditazione,di ricreazione e che la monostruttura racchiude e definisce la possibile partecipazione di tutti gli abitanti, allora si può capire che questo modello non rievochi in alcun modo il solito modello degli insediamenti residenziali, centrati sul prestigio sociale, sugli inutili status symbol o sulla ricchezza provocatoria.

Il criterio della deprivatizzazione già di per se stesso neutralizza ogni tendenza egocentrica, ridimensiona le attese individualistiche, riduce la competitività aggressiva e prepara la strada a un nuovo esperimento di vita basato sull'intensità degli scambi interpersonali nell'ambito di una comunità praticamente autosufficiente.

Il modello potrebbe a qualcuno suggerire l'idea del livellamento, cioè del predominio di attività collettive che potrebbero bloccare la creatività o comunque il libero dinamismo degli abitanti. Ma qui si innesta il motivo che a nostro avviso può essere di incalcolabile importanza: l'innesto della cultura attraverso la generosa profusione di opere d'arte, di sculture, di pitture murali, di progetti architettonici, che saranno sempre stimoli potenti proprio nel senso di arricchire l'esperienza dei singoli nell'ambito della comunità.

Non spetta a noi illustrare queste opere d'arte che sono inserite nel modello non come “pezzi da museo” ma come diretti stimoli alla partecipazione di tutti i membri del gruppo per valorizzare questo apporto culturale.

Le strade, le piazze, i percorsi non rassomigliano davvero a nessun tentativo finora suggerito: le opere d'arte e le trovate creative (dalle poesie murali ai valori cromatici delle facciate, dalla pavimentazione stradale alle musiche che si abbinano hai percorso in salita-discesa) impegnano direttamente ogni membro del gruppo ed è proprio questo scambio di opinioni ed esperienze di percezioni ed idee che il modello di Ico Parisi ha un suo respiro originale.

Se poi questo innesto culturale troverà degli animatori che stimoleranno l'interesse della comunità, questo di Arcevia potrebbe davvero essere un modello precursore che non dovrebbe tardare essere ripreso e imitato anche su scala internazionale.

Sul piano psicologico può sembrare difficile armonizzare le due tendenze antitetiche, quella della partecipazione attiva e quella della affermazione personale, ma è indubbio che il modello di Arcevia propone un suggerimento che potrebbe rappresentare un importante gradino nel superamento delle antinomie che oggi travagliano l'uomo moderno, spinto come all'affermazione egoistica e quindi alla decadenza del sentimento sociale come al consumismo che può essere definito semplicemente come anti cultura.

Antonio Miotto

Mezzegra – 1976

 

Piere Restany:

L”Operazione Arcevia” come già detto e come la pensiamo tutti noi un fatto di impegno collettivo.

La gente può considerare a livello sentimentale che questo tipo di impegno sia un po' come si dice alla francese “demodè”; Però sono proprio questi tipi di imprese che, secondo me, possono ancora reggere oggi, tutto sommato un'operazione del tipo Arcevia regge in quanto ogni partecipante fa parte di un tutto e di un tutto nell'assunto.

Ritengo molto importante che questo tipo di operazioneNasca da un architetto che ha deciso di abdicare alle sue prerogative di prepotenza a livello di potere d'occupazione del progetto per incontrare l'artista e per avere con l'artista un dialogo diretto immediato e fraterno.

Sappiamo che questo tipo di processo operativo non è nella norma, non è normalizzabile, fa parte di un'avventura che va veramente al di fuori delle situazioni normali operative e anche per me questo costituisce un'avventura.

Io credo che, se noi non siamo capaci di tirare avanti in questo spirito di fede e di ottimismo, allora l' “Operazione Arcevia” rimarrà un progetto, se noi vogliamo andare al di là, dobbiamo veramente continuare ad assumere questo ottimismo esistenziale perché l' ”Operazione Arcevia” lo richiede in grande dimensione.

Noi che abbiamo avuto la possibilità di assumere questa responsabilità abbiamo capito come l'ottimismo sia la dimensione veramente centrale del progetto.

Pensate un po', si tratta di rimodellare a livello umano un sito geografico in una zona depressa, un sito geografico molto bello a livello fisico che però esiste in maniera astratta, se possiamo veramente fissare in questo tipo di sito un nucleo di abitanti capaci di essere felici e di sviluppare tra di loro dei rapporti umani precisi, belli e naturali, avremmo creato una nuova natura. Se ho capito bene l'idea di Parisi, penso che lui cerchi di assumere una nuova coscienza della natura.

Si è sempre parlato del senso della natura; abbiamo conosciuto senso della natura classica, neoclassica, antica, rinascimentale, romantica; Il senso della natura esistenziale sarebbe proprio un modo di vivere legato a una strutturazione di pensiero e di sensibilità moderna, cioè, moderna per noi.

Quando si tratta di senso della natura, possiamo dire che è nata nuova dimensione del modernismo.

Quando si parlava del senso della natura all'epoca di Rousseau era una natura bella, un ritorno selvaggio, ma però, esisteva realmente, perché è questo tipo di sensibilità che ha creato per esempio la costituzione americana, dunque questo vuol dire che il senso della natura corrisponde a una definizione del concetto di modernità e fa cultura.

Sono molto colpito dal pensiero di Parisi anche perché l'iter intellettuale è stato un iter molto travagliato dopo una grande crisi fondamentale a livello dell'antologia che Parisi ha cercato e riuscito ad “esistere” dopo aver magari avuto qualche dubbio sulla sua antologia; anche questo tipo di riferimento personale può giocare un ruolo abbastanza determinante in quest'operazione collettiva.

Però se si tratta di casa esistenziale o di percorso esistenziale, vuol dire che a livello dell'ideatore del progetto vi è veramente il senso di una nuova modernità e la consapevolezza di una nuova natura.

La natura di Arcevia, la natura esistenziale è il prodotto della nostra civiltà di una certa riflessione sulla nostra civiltà e dunque un attento, fondamentale pensiero; è veramente la ricerca di assumere nel fatto architettonico una nuova gerarchia di valori che è quello del nostro tempo, è il prodotto della riflessione di un uomo impegnato e abbastanza generoso da nascondersi dietro la dimensione collettiva del progetto, è proprio la sua partecipazione, il suo contributo a questo senso moderno della natura.

Se consideriamo Arcevia ad un livello fondamentale, strutturale, filosofico allora non è più utopia, la dimensione utopica diventa esemplare, diventa veramente un fatto culturale operativo impegnato del presente, fa parte dell'avventura culturale attuale nell'impegno collettivo totale che noi assumiamo.

Essendo stato chiamato da Parisi a partecipare a questa operazione io mi sento direi abbastanza fiero ed abbastanza impegnato perché credo che questo tipo di impegno sia legato il mio senso della modernità, non considero l' ”Operazione Arcevia” proprio come un fatto tecnico come molti altri ma un fatto culturalmente esemplare. Se possiamo realizzare ad Arcevia a livello fisico, avremo fatto un'operazione monumentale, un'opera d'arte a modo suo.

Ma il fatto di aver realizzato il progetto, il fatto di mostrare il progetto, di difendere il progetto, discutere il progetto a livello teorico e già un fatto di cultura.

Ho il sentimento che attraverso Arcevia, attraverso questo senso della modernità, attraverso questo senso della nuova natura, noi tutti nel partecipare all' “Operazione Arcevia” facciamo cultura, facciamo un punto di cultura e un punto di storia moderna.

Pierre Restany – Venezia – 1976

 

Ico Parisi:

-“Operazione Arcevia” progetto aperto -

Allienato e derivante dall'ideologia di “Ipotesi per una casa esistenziale”, Il progetto “Operazione Arcevia - Comunità esistenziale di Palazzo d'Arcevia” ha impostazioni e procedura completamente diverse, anzi opposte.

La casa esistenziale era dichiaratamente un'auto progettazione e come tale disponeva di tutti gli elementi per essere completa e conclusa, era benché ipotetica, una reale soluzione a necessità personali che trovavano echi e riscontri in situazione umani simili, quindi abbastanza comuni da consentirne la lettura; un'operazione mentale per la quale, era sufficiente il verismo dell'immagine per dotarla di una dimensione; una auto diagnosi e una autoterapia; lo psicologo e i critici furono chiamati per un'analisi di verifica a stesura ultimata.

L' “Operazione Arcevia” invece parte da realtà; realtà territoriali economiche ambientali e sociali; nasce opera interdisciplinare e corale, in continua verifica psicologica e critica, volutamente aperta e disponibile a mutamenti fino al momento del suo concretizzarsi; l'evolversi nel procedere, i continui apporti del gruppo di lavoro ne costituiscono il patrimonio e pongono al fattore tempo come componente operativo determinante dell'opera stessa che assume così una tridimensionalità ove ne sono egualmente parte integrale la documentazione fotografica ed incisa degli incontri, delle discussioni estetiche, poetiche, psicologiche e politiche e le successive stesure grafiche.

Questo continuo adeguarsi nel tempo libera il progetto-laboratorio da ogni possibile critica di utopia sperimentale.

Considerare un progetto come un rigido contratto tra il committente, il progettista e le autorità competenti è assurdo e amorale, la sua inflessibilità cristallizza gli errori anzi li convalida e libera, comodamente, tutti dal dovere di riflettere, rivedere, correggere.

Nell' “Operazione Arcevia”, il gruppo di lavoro, i fruitori, i responsabili politici amministrativi devono essere consapevoli che il progetto può modificarsi in ogni momento se realmente i risultati degli studi e delle ricerche lo richiederanno e devono collaborare in piena e consapevole responsabilità.

Ogni forma di presentazione è da considerarsi un'istantanea della situazione operativa del momento, una testimonianza del procedimento e la sua focalizzazione.

È estremamente importante pensare al contributo e alle possibili variazioni che si potranno avere, quando, gli abitanti per ora inevitabilmente ipotizzati saranno delle reali presenze; in quel momento potrà anche verificarsi che tutto è diverso, si potrà per assurdo scegliere la soluzione della tendopoli e della proposta fatta con l'azione del 25 luglio 1974 nella quale la giovane Fatima proponeva la trasformazione dell'abito in spazio abitativo (vedi documentazione fotografica) ma è, in fondo, speranza di tutti il vedere verificarsi che il lavoro collegiale trovi una reale corrispondenza con le necessità che costituirono il punto di partenza dell' “Operazione Arcevia” voluta per l'uomo a misura duomo.

 

- Impostazione e caratere del progetto -

Il progetto si orienta su alcune impostazioni fondamentali discusse e deliberate collegialmente all'inizio dell'operazione e destinate a rendere reali le qualità esistenziali di presupposto. Esse costituiscono gli elementi caratterizzanti e qualificanti del progetto stesso.

Queste premesse etiche riguardano:

L'ordito sociale: numero degli abitanti - loro fisionomia e provenienza. La capienza abitativa comunitaria fissata in 600 persone corrisponde alla regolamentazione volumetrica edificatrice del territorio e si adegua alla capacità produttiva agricola del terreno disponibile onde consentire un'auspicata e possibile autosufficienza alimentare; corrisponde anche ad un ideale numero aggregativo.

Le ricerche fatte dal biologo francese René Dubos definiscono in 500 la misura umana ideale per vivere assieme, sicuro, secondo la sua teoria, che l'uomo troverà questa dimensione dopo aver visto esplodere la nevrosi della concentrazione urbana e aumentare gli inquinamenti e le epidemie, perché esso ha dato prova dei millenni di ritrovare la ragione tutte le volte che è in gioco la sua sopravvivenza.

La provenienza della popolazione nella comunità è determinata dalle possibili attività di lavoro creati in essa.

Sono di conseguenza previste, secondo le indicazioni del sociologo, un proporzionale numero di posti di lavoro dando preferenza a quelle attività che richiedono intelligenza abilità iniziativa. Attività agricole e artigianali. Queste scelte si allineano alla volontà politica regionale che intende creare nuovi fonti produttive a terapia del territorio che ha visto in questi ultimi anni massicce quote emigratorie, ora con tendenza al rientro.

Il centro artigianale è considerato nel progetto il fulcro motore di tutta la comunità, il suo cuore attivo, è planimetricamente posto come baricentro del villaggio.

Ordito urbanistico: Il progetto imposta il suo rapporto con l'ambiente con un sodalizio totale, adattandosi e plasmandosi con la sua monostruttura orizzontale alle caratteristiche orografiche del terreno, tendendo ad annullarsi in una sorta di presenza-coltre da cui emergono poche tracce-segnale, quali gli edifici a caratteristiche specifiche (centro artigianale - centro sportivo - serbatoio d'acqua ecc.).

Nell'insieme viene cancellata qualsiasi percezione del tradizionale edificio, scompare l'oggetto di inizio singolo, per assumere invece l'aspetto di discorso continuo e unitario in tutte le direzioni e per tutta la durata dei percorsi.

Planimetricamente la comunità e così strutturata: A bilancia nel fulcro centrale destinato alle attività produttivo-commerciali e culturali, sono collocate due zone di servizi comuni comprendenti a valle la scuola di perfezionamento artigianale, La sala riunioni e la chiesa ecumenica, mentre a monte si trovano la casa di cultura, la scuola materna, l'albergo e le attrezzature sportive. A corona di queste concentrazioni delle funzioni di vita associativa, si sviluppano le abitazioni in forma continua e unitaria e loro svolgersi per adattarsi al terreno costituisce il reale disegno architettonico di questa comunità; esse si pongono in dialogo col verde delle colline marchigiane e ne permettono la lettura immediata quando da lontano si guarda villaggio.

Tale impostazione ha chiari riferimenti alle radici storiche del territorio e inoltre impedisce gesti estetici singoli ed evita distinzioni esteriori anche minime nelle abitazioni.

Vi è l'intento di uniformarsi e unirsi nella monostruttura di copertura e nell'uguaglianza di segno delle facciate.

Questo sistema strutturale permette invece la massima libertà di taglio delle unità abitative, la quale configurazione interna sarà decisa volta per volta secondo le singole necessità.

Ordito culturale: Viene impostato un dialogo visuale che obblighi lo spettatore a considerare l'architettura, l'immagine, l'ambiente come elemento interattivo.

I progettisti distribuendo le presenze poetiche in tutti i percorsi interni della comunità e in alcuni esterni nelle strutture degli edifici, si propongono il ripristino dei valori pubblici dell'arte come patrimonio collettivo in opposizione alla tesaurizzazione o alla relegazione nel museo dell'opera d'arte e nell'intento di allontanarla da questi valori di ambigua trascendenza in favore del bene umile e quotidiano.

Nell'insieme il progetto vuole essere una ricerca del meno perché vuole dedicarsi al più; una soluzione che si avvicina per quanto può alla realtà di un mondo povero, di propositi modesti; più futuribile di quanto lo siano massastrutture per milioni di persone; le città spaziali e subacquee utopie previste per il domani che hanno poche possibilità di funzionare per il dissipamento delle risorse energetiche che comportano, ma soprattutto perché lontane dalle modeste e umili esigenze della gente.

Ico Parisi – Como – 1976

 

Il contributo di Iginio Balderi tra i tanti artisti coinvolti da Ico Parisi

L'”Operazione Arcevia” si propone come un nuovo modello di operare nel sociale per essere più sociale.

Non credo, così come stanno andando avanti le cose, che quest'operazione, nel suo insieme, stia dando quegli esempi di creatività collettiva che personalmente mi auspicavo. In quanto tutti coloro che operano questo progetto (compreso il sottoscritto) lavorano separati l'uno dall'altro, occupandosi di un particolare, senza una possibilità di ricerca – proposta – verifica - riproposta comune, tra gli operatori stessi e la comunità che il villaggio dovrebbe accogliere.

Il mio spazio operativo è il parcheggio, avendo stabilito a priori che nessuna macchina può circolare e sostare nel villaggio, il mio intervento a vieni fuori dalle “mura”. Ho cercato di mettermi di fronte a questo problema nella maniera più corretta possibile, lasciando, a chi vorrà, ogni spazio di intervento inteso sia come contributo all'avanzamento di questa idea, sia alla negazione del lavoro fin qui svolto.

Finora è successo questo:

1° Visita del luogo da parte di tutti collaboratori all'operazione.

2° Incontro Balderi-Parisi, nasce l'idea di mettere l'automobile dentro l'uovo (l'uovo è più bello della macchina – Parisi).

Preciso però che questa forma chiamata uovo è ottenuta con una rotazione dell'ellisse sul raggio più lungo.

3° Incontro Balderi-Parisi-Crispolti. In fase rimeditativa ho dei dubbi e faccio presente le mie perplessità sull'opportunità di intervenire su un paesaggio integro con quelle forme di vetroresina bianche. Parisi sostiene con sicurezza l'idea e dice che comunque un' ammucchiata di macchine sul piazzale in bitume sarebbe veramente orripilante.

4° Incontro collegiale a Palazzo d'Arcevia. Prima di lasciare il luogo poggio un “uovo” dalle dimensioni di cm. 130 × 60 sul posto dove dovrebbe nascere il villaggio, lasciando lo suo destino, come auspicio dell'inizio di un viaggio verso equilibri sociali più avanzati.

5° Per portare avanti il lavoro chiamo il matematico Hermann De Wolde del centro Euratom di Ispra Con cui ho già avuto più occasioni di collaborazione. Realizziamo un programma al computer per individuare la forma più idonea a “contenere” una automobile (Per coprire ogni tipo di automobile). Vengono programmati circa 500 ellisse e superellisse con esponenti diversi che vanno da 2.0 ad esponente 5.0 con 16 esponenti diversi. Da questi 500 ne scelgo diversi con esponente differente che vengono disegnati direttamente dall'elaboratore scala.

Nasce l'idea di due moduli che vengono chiamati Parking Flower e Parking Big Flower. Con questi faccio delle proposte di organizzazione ambientale nel paesaggio, realizzo un modellino di box. Mentre lavoro a progetto posso trovarmi l'amico Emilio picco, abbiamo una conversazione sul perché di un mio intervento di questo tipo su quel territorio. Chiedo d'Emilio di trascrivere la conversazione. Ne accludo una parte al materiale fin qui prodotto e porto tutto Parisi.

Tutto ciò che viene presentato vuole essere una visualizzazione di un'idea a cui tutte le persone succitate hanno contribuito e soprattutto un'idea su cui tutti possono liberamente intervenire.

Iginio Balderi