Catalogo "Percorso della scultura" – Milano – Iginio Balderi - 1989

 

L'avvio di Iginio Balderi è in quella fertile quanto trascurata congiuntura che si realizza a Milano in ambito plastico tra anni Cinquanta e Sessanta, le cui radici sono in Lucio Fontana e in Umberto Milani, d'altronde ancora attivi e quindi presenti anche come stimolo diretto.

Le ragioni della forma e quelle della dinamica esistenziale, della struttura e della materia, del volume e dello spazio, e se si vuole anche della tradizione e della modernità interagiscono vivacemente, più per un simultaneo emergere, e scontrarsi, di pulsioni, di esigenze, di aspirazioni che per il definirsi d'una dialettica ordinaria. Sullo sfondo pure, naturalmente, della sfida dell'informale alle presupposte integrità della scultura, e alle sue stesse, e altrettanto preconcette, impossibilità (e allora, con l'eredità dell'ultimo Martini, di La scultura lingua morta ed anche dell'antistatuaria di certe sue opere estreme, va considerata l'influenza di personaggi come la Richier e il medesimo Giacometti; ne è possibile non fare i conti con Marino, maestro a Brera, di quasi tutti giovani che dell'indicata situazione sono protagonisti).

Ecco, entro siffatte coordinate, all'alba del decennio, le colonne di Balderi: episodio d'una rilevanza che va ben oltre la storia dell'artista, ponendosi tra i capisaldi - Appunto nel sovrapporsi di ordine e trasgressione, di definizione strutturale e di lievitante materismo, di intrusione nello spazio e di apertura ad esso - di quel momento, innervato dei fremiti della soggettività e insieme del bisogno di riconquistare una determinazione oggettiva, riproponendo appunto, in termini nuovi, e certo in confrontabili, il desiderio di difendere rinnovandoli gli attributi di fisica determinatezza, di tridimensionalità, ingombro spaziale, di concretezza oggettiva da sempre nella scultura propri.

Nè, già allora, mancava un quale rimando a risonanze arcaicizzanti - però ancora da metter esclusivamente sul conto degli esiti plastici - che subito si sviluppa nei lavori che Balderi fa seguire alle Colonne: da Eptatlon o da Le Cariti ad Atreo, ai Penati, a Eos, fino alla Tavola degli dei. Sempre, non dovrebbe esserci bisogno di ricordarlo, fuori dall'archeologismo, della rivisitazione del museo a del medesimo primitivismo, estranei alla generazione del nostro scultore. E invece con una sottigliezza mentale volta a riproporre la presenza del mito come realtà viva nella memoria culturale: con anche una qualche vena nostalgica, e senza alcun appesantimento erudito.

Piuttosto entro i termini dati dall'obiettivo di riversare in modi che siano di oggi contenuti che nell'oggi non si esauriscono.

Di quelle forme levigate, esatte, come incontaminate. Con un che di rarefatto, anche per il candore della materia - nelle versioni originali, poi tradotte, con altre valenze, in bronzo - , singolarmente coesistente con un esserci a suo modo perentorio, e in ogni caso ben definito, che appunto da sensibilmente quella compresenza di passato e di presente, nonché di flagranza oggettuale e di imprevedibilità concettuale. Inoltre col riproporsi in soluzioni inedite del problema, già esplicito nelle colonne, del rapporto, molteplice, struttura-spazio, nella dinamica tra apertura e chiusura: ora tuttavia con una sedimentazione come raggelata, funzionale alle indicate intenzionalità evocative e di intensificazione dello spessore significante.

È un percorso che sfocia nelle Sette variazioni di un tema, che riportano programmaticamente l'accento sui valori formali, nella critica dichiarata ad un geometrismo formalistico, manieri esteticamente fine a se stesso, angustamente autoriflessivo. con originali inflessioni minimalistiche, Balderi organizza spericolati equilibri, lavora sui nessi tra solidi della superficie piana e curva, poliedri ed ellissoidi, energicamente tesi eppure come immobili in una indefinibile fissità, tra fenomeno ed essenza: concentrando così senza rimandi descrittivi quello spessore simbolico che col tempo affascina sempre di più lo scultore.

“Ogni scultura è per me un simbolo misterioso della vita, un segno una rappresentazione della esistenza umana sul nostro pianeta”, scriveva Balderi già nel 1974, precisando che “l'uovo” - tema ricorrente per anni nelle sue creazioni – è “una sfera - corpo celeste - messa in rotazione dentro un'ellisse - il movimento intorno al suo sole - il suo viaggio”; e “non è una cosa fissa – statica - ma dinamica: è vita; l'uovo è il simbolo più alto della vita”.

D'altra parte questa forma archetipa tanto carica di connotazioni altro non è, sottolineava sempre Balderi, che “l'ellissoide ottenuto dalla rotazione dell'ellisse sul suo asse maggiore”, posto in complesse e varie relazioni, dapprima con uno o più poliedri, e poi con soldi solo virtuali dati dall'indicazione concreta di spigoli e sezioni: chiuso entro la spazialità definita di contenitori geometrici oppure liberi ad invadere l'ambiente.

E' in tale consustanzialità di contenuto e forma che - dopo una temporanea intensificazione delle implicazioni simboliche, alla fine degli anni Settanta, con insistiti riferimenti cosmogonici, come in Omaggio a Zarathustra - che si innestano le opere recenti dell'artista, caratterizzate prima dall'organizzazioni di pieni e vuoti nel fluire continuo della spirale e quindi, negli ultimi lavori, presentati per la prima volta in questa occasione, da un complesso relazionarsi, entro ancora un avvitamento spiraliforme, di volumi reali e virtuali, in un intreccio intimo di forze centripete e centrifughe, coinvolgente potentemente lo spazio esterno attraverso la proiezione del nucleo plastico e delle sue potenziali energie. come risultato, tra l'altro, riproporre la riconquista d'una monumentalità non monumentale, anche appunto perché non impermeabilmente chiusa in se stessa, che fa intuire un intelligente rimeditazione del grande Boccioni, delle sue “forme uniche della continuità dello spazio”, dal “fondamento architettonico, non soltanto come costruzione di masse, ma in modo che il blocco scultoreo abbia in sé gli elementi architettonici dell'ambiente scultoreo in cui vive il soggetto”, secondo la definizione del maestro futurista, che alle odierne ricerche di Balderi, significativamente intitolata alla città, potrebbe far da didascalia.

Luciano Caramel – 1989 -